Terza pagina





                                
Sono venuto da te con niente in mano...
Allora lascialo subito.
Ma come faccio a lasciarlo, non è niente...
Allora portatelo dietro!
da "Il canto degli uccelli" 


Quattro libri sullo Zen da leggere !!!



«Ti stiamo lodando per il tuo discorso sul vuoto»...
«Ma io non ho parlato del vuoto»...
«Tu non hai parlato del vuoto, noi non abbiamo
udito descrivere il vuoto»...
«Questo è il vero vuoto»...
da "101 storie Zen"

«La mente muove il vento, la bandiera,
La stessa comprensione.
Quando la bocca si apre,
Tutti sbagliano.»
da " La porta senza  porta" 
  
«Ero intento a respirare  e fu un'immensa
meraviglia scoprire che un respiro seguiva l'altro.»
da "Il bastone del Maestro"  
 
...«Che debbo dunque fare?»... «Imparare la giusta attesa».
«E come si impara?». «Staccandosi da se stesso,
lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso
e tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro
che una tensione senza intenzione».
da "Lo Zen e il tiro con l'arco"




Gettate le briglie dei buoi, presi i voti,
Sono svestito e rasato.
Tu chiedi perché Bodhidharma venne in oriente -
Lìberati da ogni sostegno, io farnetico come un folle.
Reito, poeta cinese


Cinque libri sulla Strategia...   

                            

«Un esercito confuso, conduce all'altrui vittoria.»
da " Sun Tzu, L'arte della guerra"

«Se vuoi fare qualcosa, fà in modo che
il tuo avversario lo faccia per te.»
da "I 36 stratagemmi" 

«Fare a meno di pensare non è altro che un permanente
lampo mentale, e questo in grande silenzio e pacatezza.»
da " Lo Zen e l'arte del Manager" 

Per vent'anni pellegrino
Spostandomi ad est, ad ovest.
Tornato a Seken
Non mi son mosso d'un pollice.
Seiken-Chiju, poeta cinese

Raggiunta la méta,
fatti una bella risata.
Rasato, sei più bello -
Quelle inutili sopracciglia!
Kishu, poeta cinese
   
Il vecchio maestro teneva la lanuggine
Nel palmo della mano, e la soffiò via
Rivelando la vera sorgente.
Guarda dove le nuvole nascondono la cima!
Kaigen, poeta cinese

Il monte - il corpo del Buddha;
Il torrente - la sua predicazione;
L'altra notte, ottantaquattromila poesie.
Come, come far loro capire?
Sotoba, poeta cinese


Quanto tempo l'albero è rimasto sterile.
Sulla sua cima lunghi intrecci di nuvole.
Da quando ho infranto le corna del toro di fango
Il torrente ha invertito il suo corso.
 

Hoge, poeta cinese

La «Quercia nel cortile» di Joshu:
Nessuno ha afferrato le sue radici.
Tornati da dolci alberi di prugno,
Raccolgono pere acerbe sulla collina.
Eian, poeta cinese 

Sul pendio roccioso, prugni
In fiore: da dove provengono?
Come li vide, Reiun
Danzò lungo tutto il tragitto per Sandai.
Hoin, poeta cinese

La «Quercia nel cortile» di Joshu
Le mani protese verso il basso, ma perduti tra
                                                  i rami frondosi
     Essi non raggiungono la radice. Il discepolo Kaku grida:
       «Joshu non ha mai detto nulla!».
           Monju-Shindo, poeta cinese      
  


La volpe e la tigre

Un giorno la volpe incontrò una tigre. Questa le mostrò i denti, tirò fuori gli artigli e voleva divorarla. La volpe disse: «Mia signora, non dovete pensare che solo la tigre sia regina. La vostra audacia non è paragonabile alla mia. Avanziamo assieme, e Voi mi terrete dietro. Se gli uomini che mi vedono non si spaventano potrete divorarmi». La tigre accettò e la volpe la condusse su una grande strada. I viandanti che scorgevano la tigre da lontano fuggivano atterriti. La volpe allora disse: «Ebbene? C'ero io, davanti; la gente ha visto me, non Voi». Allora la tigre se ne andò con la coda fra le gambe. La tigre aveva creduto che la gente avesse paura della volpe e non aveva notato che la volpe aveva riferito a sé il terrore provocato dalla tigre.


L'esca della tigre

  Il fatto che la volpe attribuisca a sé il terrore provocato dalla tigre è solo un esempio; il fatto però che la tigre abbia le sue esche si legge spesso nei libri di storie e anche i nonni ne parlano tanto, per cui deve esserci qualcosa di vero. Si dice che, quando la tigre divora un uomo, lo spirito di quest'ultimo non possa allontanarsi, per cui la tigre lo usa come esca. Quando va a caccia, lo spirito dell'uomo divorato la precede e la nasconde allo sguardo degli uomini. Lo spirito si trasforma infatti in una bella ragazza, in un lingotto d'oro o in un abito di seta. Fa ricorso a ogni genere di seduzione per attirare gli uomini nelle gole montane. Poi compare la tigre e sbrana la vittima. Il nuovo spirito dovrà fungere a sua volta da esca. L'altro ha sbrigato la sua incombenza e può andarsene. E così via, all'infinito. Ecco perché coloro che sono costretti da persone astute e malvagie ad arrecare danni al prossimo sono detti «le esche della tigre».

La volpe e il corvo

La volpe sa come accattivarsi le simpatie altrui e conosce ogni astuzia. Una volta vide un corvo appollaiato su un albero; aveva nel becco un pezzetto di carne. La volpe si accovacciò sotto l'albero e, guardandolo di sotto in su, prese a lodarlo. «Le vostre piume», gli disse, «sono del nero più puro; voi dovete avere la saggezza di Laotse*, che sapeva preservare la sua oscurità. Il modo in cui nutrite vostra madre dimostra che il vostro amor filiale eguaglia quello del maestro Dsong** per i suoi genitori. La vostra voce è roca e forte; ciò dimostra che possedete l'audacia di re Hiang, il quale mise in fuga i suoi nemici con la sola voce. Siete davvero il re degli uccelli ». Il corvo lo udì e ne fu tanto lusingato che disse: «Grazie, grazie!». Aprendo il becco però lasciò cadere la carne. La volpe l'afferrò, se la mangiò e disse poi ridendo: «Ricordatevi una cosa, signor mio: se qualcuno vi loda senza motivo, ha sicuramente qualche secondo fine».
 

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* Filosofo cinese al quale viene attribuito il Tao-tê- ching, testo sacro taoista.
** Discepolo di Confucio, famoso per la pietà filiale.

È evidente la somiglianza con la favola di
Esopo, della quale è probabilmente un adattamento in "stile" cinese.
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Chi è il peccatore?

Dieci contadini andavano insieme sui campi. Furono sorpresi da un violento temporale e si rifugiarono in un tempio semidiroccato. I tuoni si facevano sempre più vicini e il frastuono era tale che l'aria tutt'intorno tremava. Il tempio era circondato da un cerchio di saette. I contadini, terrorizzati, pensavano che tra loro dovesse esserci un peccatore e che il tuono si accanisse contro costui. Per scoprire chi fosse decisero di appendere i loro cappelli davanti alla porta: l'uomo il cui cappello fossestato portato via dal vento avrebbe dovuto affrontare da solo il suo destino. Non appena i cappelli furono fuori il vento ne spazzò via uno; gli altri contadini, spietati, cacciarono subito il suo padrone dal tempio. Non appena ebbe lasciato il tempio, egli udì sibilare un fulmine. Poi, uno schianto. Colui che avevano cacciato era l'unico giusto, in virtù del quale il fulmine risparmiava l'edificio. Gli altri nove dovettero pagare con la vita la loro crudeltà.


L'orcio fatato

C'era una volta un uomo che trovò nel suo campo un grande orcio di terracotta*. Lo portò a casa e disse a sua moglie di ripulirlo. Non appena la donna infilò la spazzola nell'orcio, questo si riempì di spazzole. Per quante ne estraesse, ce n'erano sempre di nuove. L'uomo vendette le spazzole e col ricavato la famiglia poté vivere davvero bene. Una volta nell'orcio cadde una moneta. Le spazzole scomparvero all'istante e l'orcio si riempì di monete. La famiglia divenne ricca: potevano attingere dall'orcio tutto il denaro che volevano. Quell'uomo aveva in casa un nonno molto anziano, che era debole e tremante. Poiché non era più in grado di fare niente, lo mise ad attingere il denaro dall'orcio, ma quando il nonno fu stanco e dovette smettere, l'uomo si adirò e lo sgridò, accusandolo di essere pigro e scansafatiche. Un giorno il vecchio, esausto, cadde nell'orcio e morì. Il denaro scomparve all'istante e l'orcio si empì di nonni morti. L'uomo dovette allora tirarli fuori e dar loro sepoltura, spendendo così tutto il denaro che aveva messo da parte. Quando ebbe finito distrusse l'orcio e tornò povero come prima.

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* Nella Cina settentrionale, per conservare l'acqua e gli altri liquidi si usavano orci di terracotta, al posto delle botti di legno.
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 Fiabe cinesi



Il corvo e la rana

C'era una volta un corvo che aveva un amico corvo e decise di andarlo a trovare. Lo vide ben pasciuto e gli domandò: «Amico mio, come hai fatto a ingrassare tanto ed avere un pelo così lucido?». Questi rispose: «Non ho mangiato altro che rane». Il corvo si recò subito sulla riva del fiume. Vi trovò una rana dagli occhi assai sporgenti. L'acchiappò e se la portò su un tetto.
 Si affilò il becco e si dispose a divorarla. La rana disse allora: «Se mi mangi qui, non ho paura. Ma ti prego, non mangiarmi sulla riva del fiume!». Il corvo pensò che fosse più bello divorarla sulla riva del fiume e ve la portò. Si affilò soddisfatto il becco su una pietra ma, proprio quando stava per mangiarla, la rana balzò in acqua. Il corvo ne fu assai triste. 


Storie di formiche

In un grande paese viveva un re molto importante. Un giorno il re fece una gita di piacere in una grande pianura, dove organizzò una grande festa. Alla festa presero parte alcune migliaia di ospiti. Quando la festa fu finita se ne andarono tutti. Il riso caduto di bocca agli ospiti fu buttato per terra; spuntarono allora una miriade di formiche, che lo raccolsero e se lo portarono sotto terra. Quando le formiche ebbero nascosto il riso, arrivò il re di un altro paese per far guerra al re che aveva dato la festa.Tutto l'esercito si fermò nel posto dove si era svolta la festa. Tuttavia, non essendoci né legna né acqua, l'esercito dovette soffrire la fame.Quando si accorsero che l'esercito non aveva niente da mangiare le formiche tirarono fuori il riso e lo donarono a quell'esercito, tanto che tutti i soldati ne furono soddisfatti. Il comandante in capo disse allora alle formiche: «Ditemi, formiche, dove avete preso tutto questo riso già bollito?». Le formiche risposero: «Sire, in questo paese, dall'altra parte, c'è un grande re. Quel re è venuto in questo luogo per dare una grande festa. Quando la festa è finita e le vivande sono terminate, se ne sono andati tutti, buttando per terra il riso caduto dalle loro bocche. Allora noi l'abbiamo raccolto e l'abbiamo nascosto sotto terra». Il comandante, meravigliatissimo, parlò così alle sue truppe: «Ho l'impressione che quel re disponga di un grande esercito e regni su un grande paese. È meglio che non li attacchiamo: penso che contro di loro non potremmo niente». E con queste parole ricondusse in patria il suo esercito.


A-khu ston-pa, un burlone tibetano

Viveva una volta in Tibet un uomo fuori dall'ordinario di nome A-khu ston-pa. Era furbissimo e si diceva che fosse un'incarnazione di Ârya Avalokiteshvara. Una volta si recò nel villaggio di 'Phen-po. Per strada incontrò alcuni bimbi che avevano preso dei pesci. Mentre i bimbi tornavano a pescare A-khu rubò i loro pesci, li arrostì sul fuoco e se li mangiò. Ne raccolse però le code e le mise in altrettante tane di topo. Quando tornarono, i bimbi pregarono A-khu di dar loro i pesci. A-khu rispose che i pesci gli erano scivolati di mano e si erano infilati in altrettante tane di topo. Poiché non ci credevano, A-khu disse loro: «Se non ci credete, andiamo insieme a vedere!». E condusse i bambini nei pressi delle tane, e davvero da ciascuna tana spuntava una coda di pesce. A-khu disse ai bimbi: «State attenti, è pericoloso», ed estrasse personalmente le code di pesce, con la massima cautela. Non erano nient'altro che code di pesce, naturalmente. «Guardate un po', se non le hanno morsicate i topi, chi può averlo fatto?». E i bimbi ne furono convinti.



Avidità punita

Tanto tempo fa un cacciatore colpì un elefante con una freccia avvelenata; quando si accorse di averlo colpito seguì la freccia e uccise l'elefante. Per una cattiva stella, tuttavia, arrivarono in quella contrada cinquecento ladroni che avevano saccheggiato un villaggio di montagna e scorsero l'elefante. Poiché era già tempo di carestia, essi dissero: «Abbiamo trovato una gran quantità di carne. Duecentocinquanta di noi faranno a pezzi l'elefante e lo arrostiranno; gli altri duecentocinquanta invece procureranno l'acqua». Quelli che tagliavano e cuocevano l'elefante si trovarono a pensare: "Visto che ci siamo sobbarcati questo lavoro e abbiamo messo insieme tanto bottino, perché dovremmo cederne parte agli altri! Mangiamo carne a volontà e avveleniamone gli avanzi: quelli la mangeranno e ne moriranno, così il bottino sarà tutto nostro". Dopo averne mangiata a sazietà ne avvelenarono così i resti. Quelli che erano andati a prendere l'acqua, del resto, avevano avvelenato l'acqua che non avevano bevuto. Quando furono di nuovo insieme e quelli che avevano mangiato la carne bevvero l'acqua e quelli che avevano bevuto l'acqua mangiarono la carne, morirono tutti. Giunse allora in quel luogo uno sciacallo, che scorse tutti quei cadaveri. Con una gioia che nasceva dalla sua cupidigia pensò: "Mi trovo davanti a un bottino enorme; procederò per gradi". Afferrò l'arco con le fauci e si mise a rosicchiare i nodi della corda. La corda però si spezzò e un'estremità dell'arco lo colpì sul palato, uccidendolo. Lo sciacallo pronunziò questa sentenza: «Si debbono raccogliere provviste, ma non superiori ai propri bisogni: guardate come lo sciacallo accecato dall'avvidità per il suo bottino è stato ucciso dall'arco».

Fiabe tibetane




Il piú comune e meno costoso 
dei piaceri è la conversazione.
È il piú grande passatempo della vita.
Byrne Hope Sanders

(Finché non si scopre il silenzio.)
(Deo) 
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Ci sedemmo dalla parte del torto visto 
che tutti gli altri posti erano occupati.
Bertolt Brecht

(Non potevate stare in piedi?)
(Deo)
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Se oggi hai una bistecca, mangiala con soddisfazione.
Se domani hai pane e cipolle, mangiali con soddisfazione. 
Babbu Pala
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Pro oculi

Le donne di Eugene De Blaas - Confidenze





"Licenza polemica"   

Gli italiani sono il popolo più diffamato al mondo, e non si sa per qual ragione. E a mio parere la ragione vera non è, come dicono, che siamo traditori, falsi, vili, bugiardi, sporchi e ladri, poiché non so quale popolo, anche il più superbo, il più ricco, e il più rispettabile, non sia traditore, falso, vile, bugiardo, sporco e ladro: la vera ragione è che gli italiani sono stati per molti secoli, ora per la forza delle armi, ora per la ricchezza, ora per l'intelligenza, per la civiltà, e per l'arte, i padroni di tutti i popoli della terra, e poi, per molti secoli, i servi di tutti i popoli. È avvenuto cioè agli italiani quel che sempre avviene alle grandi famiglie cadute in miseria: che gli antichi servi si vendicano degli antichi padroni umiliandoli, o, quando non possono umiliarli, diffamandoli, e più li umiliano e li diffamano coloro che da quelle famiglie, nel tempo della loro potenza, ebbero protezione e benefici. Si vendicano da servi: che è il modo col quale gli stranieri si vendicano dell'antica grandezza degli italiani.
               Curzio Malaparte             

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"Linguaggio"

In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l'idea s'ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste; vale a dire peste sí, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s'è attaccata un'altra idea, l'idea  del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l'idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro.
Non è, credo, necessario d'esser molto versato nella storia dell'idee e delle parole, per vedere che molte hanno fatto un simil corso. Per grazia del cielo, che non sono molte quelle d'una tal sorte, e d'una tale importanza, e che conquistino la loro evidenza a un tal prezzo, e alle quali si possano attaccare accessòri d'un tal genere. Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d'osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Cap. XXXI    


G. Leopardi - Zibaldone, 527


Gli alberi sono le colonne del mondo: quando gli ultimi 
alberi saranno stati tagliati, il cielo cadrà sopra di noi.
(Nativi americani)



Colui che sa non parla.
Colui che parla non sa.
Tao-tê-ching 





Collegamenti



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  Da Introni.it
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